Adolfo Wildt, l’ultimo simbolista
Dopo la mostra antologica di Forlì del 2012 e quella al Musée d’Orsay di Parigi della scorsa primavera, finalmente anche Milano, sua città natale, rende omaggio a Adolfo Wildt (1868-1931) nell’ambito della serie di mostre sulla scultura organizzate dalla GAM. Quello tra Milano e Wildt fu un legame forte, per l’insegnamento presso l’Accademia di Brera negli anni Venti, dove furono suoi allievi Lucio Fontana e Fausto Melotti, per l’adesione al movimento milanese del Novecento, per la diffusione delle sue opere nelle collezioni private cittadine. Dall’iniziale romanticismo, la scultura di Wildt si sviluppa attraverso influenze secessioniste, gotiche e barocche, in un complesso, raffinato intreccio che spesso non fu facile da comprendere. Fu apprezzato soprattutto per la grande perizia tecnica nella lavorazione del marmo, che cercò di motivare e spiegare nel volume L’arte del marmo del 1921. Dimenticato dopo il 1945 per la sua adesione al fascismo, è stato riscoperto e studiato dagli anni Settanta in poi da Paola Mola, ancora oggi massima esperta dello scultore.